Condannati all’ergastolo i fratelli Bianchi – Quando la violenza è l’ultima risorsa degli incapaci

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Negli scorsi giorni è stata emessa la condanna all’ergastolo per i fratelli Bianchi, balzati agli onori delle cronache per un fatto delittuoso di efferata crudeltà aggravato dai futili motivi che lo hanno determinato. La vittima è un giovane ventunenne, Willy Montero Duarte, morto dopo essere stato letteralmente massacrato di botte nella notte fra il 5 e il 6 agosto del 2020 a Colleferro. Il ragazzo, italiano ma la cui famiglia è originaria di Capoverde, era particolarmente amato dagli amici e da coloro che lo conoscevano per quella sua capacità di trasmettere a ognuno una buona dose di positività e per quel sorriso decisamente contagioso con il quale ormai tutti ci siamo abituati a ricordarlo. Ma Willy Montero era anche un ragazzo pieno di speranze per il futuro. Malgrado la giovane età, aveva già molto chiaro che cosa avrebbe voluto fare da grande se le circostanze non avessero interrotto   prematuramente la sua vita. Willy Montero era stato uno studente dell’Istituto Alberghiero di Fiuggi. Lì era stato da tutti benvoluto e si era distinto per impegno e dedizione allo studio. Una volta preso il Diploma aveva poi cominciato a lavorare nel settore per il quale aveva studiato. Anche i suoi colleghi di lavoro, al pari di quelli di scuola, raccontano di un ragazzo sempre sorridente e ben disposto nei confronti di tutti. Oggi, proprio nel suo ex istituto è stata posta una statua scolpita in legno in sua memoria. Scopriamo, così che in questa sciagurata tragedia la scuola ricopre un ruolo importante, in positivo ma, vedremo, a suo modo anche in negativo.

Willy era un ragazzo buono e con valori solidi frutto di un’educazione familiare spesso motivo di pregiudizi solo perché fornita da persone di origine straniera. Il giovane aveva compreso l’importanza di compiere un percorso scolastico che accompagnasse e costruisse le sue ambizioni e i suoi obiettivi e ripagasse gli sforzi compiuti dai genitori per garantirgli un’educazione e un’istruzione del quale sentirsi orgogliosi. Per quanto riguarda i fratelli Bianchi, è nota la loro passione per le palestre e per alcuni sport da loro, verrebbe da pensare, interpretati più che per curare la propria salute fisica, piuttosto per trasformare il proprio corpo in una vera e propria arma. Sì, proprio così. Quella dei Bianchi di Colleferro è la triste vicenda di due ragazzi, per giunta uniti dal legame di sangue, di due fratelli dunque, accumunati, oltre che dal legame familiare, dalla volontà di fare di sé e del proprio corpo un mezzo per aggredire e incutere timore ad altri, specialmente se indifesi e poco addestrati, come nel caso del povero Willy. Dunque, i muscoli dei fratelli Bianchi, da una parte, e il sorriso radioso di Willy, dall’altra.

Ma come si è potuti arrivare ad una tragedia come questa? Fermo restando che il giudizio che si è appena pronunciato corrisponde solamente al primo grado di giudizio, e che pertanto nulla vieta che in seguito, nei prossimi due gradi di giudizio, la sentenza possa mutare, di fronte ad una storia brutale come questa, è doveroso porsi delle domande.

Innanzitutto, non possiamo dimenticare che gli accusati sono due giovani pressappoco coetanei della vittima. Perciò, oltre a quella del povero Willy, non deve sfuggire che anche i due responsabili siano dei seri candidati a vedere la propria vita irreversibilmente compromessa. La prima sentenza parla infatti di ergastolo che, come tutti sapranno, significa fine pena mai. Per il nostro sistema giudiziario, non esiste una pena più pesante di questa. Ciò significa che il reato commesso dai due fratelli è di una gravità sconcertante. Si tratta, insomma, di altre due vite spezzate che forse potevano essere salvate se solamente dietro di loro vi fossero state delle istituzioni educative capaci di intercettare la violenza inaudita che doveva per forza covare dentro di loro già da tempo e a favore della quale avrebbero colpevolmente presto o tardi sacrificato la propria libertà. È quindi lecito chiedersi se sia plausibile poter credere che nessuno fra coloro che avevano avuto modo di conoscerli avesse mai sospettato che vi fosse il rischio che questa culto della forza potesse prima o poi sfociare in tragedia. Una carica di violenza come quella esercitata dai due fratelli nei confronti del giovane Willy Montero Duarte non può essere il frutto di un blackout momentaneo, né tantomeno di un raptus incontrollabile. La famiglia sapeva? E la palestra, laddove i due erano delle presenze abituali, che ruolo ha avuto? Come è pensabile potere credere che non avessero avuto il sentore che i due stessero, per così dire, esagerando? E, infine, la scuola. Non possiamo omettere di fare alcune riflessioni anche su questo versante. Non è chiaro quale sia stato l’effettivo percorso scolastico dei due ma sappiamo che la legge italiana prevede l’obbligo scolastico fino ai sedici anni. Non pochi, quindi, e soprattutto ampiamente sufficienti per potere svolgere quell’azione pedagogica che prevede l’insegnamento del rispetto della propria e dell’altrui persona come ciò che deve essere alla base di qualunque convivenza civile. È possibile, perciò, ipotizzare che segnali latenti, che evidenziassero sintomi di atteggiamenti potenzialmente antisociali da parte dei due giovani, già vi fossero.  E allora perché non siamo riusciti, come società civile, ad evitare questa orribile tragedia? Chi ha mancato di più al proprio ruolo, la famiglia o la scuola? I due giovani, già prima del massacro di Colleferro, si erano distinti per comportamenti malavitosi di piccola e media entità. Che, purtroppo, all’interno di alcune situazioni ambientali qualcuno si possa perdere è fisiologico e va pertanto tenuto in conto. La novità di questa terribile vicenda è senza dubbio, però, la peculiarità che vede una sintonia criminosa e complice crearsi proprio fra due fratelli. Che, insomma, in questa terribile pagina di cronaca nostrana si veda il coinvolgimento quasi simbiotico di una coppia di fratelli ci fa puntare il dito anche contro coloro che, a vario titolo, avrebbero potuto o persino dovuto evitarla. Dove erano gli assistenti sociali quando i due ragazzi crescevano? Dove era la scuola, o se preferiamo, chi ha eventualmente pensato di fornire a questa i necessari supporti e strumenti correttivi per poterla aiutare a gestire situazioni figlie di dinamiche familiari presumibilmente complesse? Tutte queste sono certamente domande difficili e alle quali non sarà semplice ora, a distanza di tempo, tentare di offrire delle risposte soddisfacenti. Rimaniamo, però, piuttosto convinti che una simile ferocia che ha visto coinvolti ben due componenti della stessa famiglia, al di là degli altri due ragazzi incriminati, non possa trattarsi di una mera coincidenza. Il sospetto che dietro a quelle azioni barbare vi possa essere una radice nascosta, un disagio e una carenza, per non dire assenza, di fornitori di strumenti educativi e formativi, dalla famiglia alla scuola, fino ad eventuali assistenti sociali, è una conclusione inevitabile. I Fratelli Bianchi hanno mostrato comportamenti antisociali, crudeli e sprezzanti della vita. Nella catena formativa in cui i due giovani sono cresciuti, uno o più passaggi devono essersi interrotti o, peggio ancora, è possibile non abbiano funzionato.